Festival, 2021
Francesco Lauretta
Oro, una parete d’oro, satura e innaturale sembra vestire il quadro-mondo; oro che cancella e sembra assorbire l’aria; anzi oro che si fa respiro, una respirazione che soffoca ed esplode portando con sé lo sguardo (di chi sta dinanzi al quadro) e moltiplica la vista, anzi, fa dell’occhio umano un occhio alieno, come quelli di un moscone divino, perché d’oro qui si moltiplica e soffoca, e affiora, la vista. Un festivale, moncone di una festa più complessa, è questo quadro di luce. E, nel vento dorato, si intuisce un santo, idolatro, che sembra offendere la sepoltura dorata con la lama della spada e, ai suoi piedi gli uomini, di spalle, dalle teste nere, unico nero nell’oro, sono in combutta con l’altro nero, l’oscuro demone che, seppur sotto i piedi del divino alato, pare poter condurre tutto, oro compreso, nel suo buco infernale. Ma oro è soprattutto; e Festivale è innesto del cielo nella terra. (F.L.)
Francesco Lauretta (1964). “Sono nato disegnando. Sono cresciuto realizzando installazioni. Poi il lungo calvario, ambizioso, di rivoluzionare la mia esistenza come pittore. Alla fine sono diventato un pittore quando sono riuscito a conquistare e raggiungere lo scopo che per molti anni avevo sognato di superare per godere in euforia la bellezza di coniugare la teoria e l’applicazione pratica della medesima. E come pittore mi occupo di poesia, di morte per comporre cose future, di musica, di narrativa. Le tematiche sono intimiste: abito lo spazio strettissimo del tu e il tuo. Sono un Inesistenzialista” (F.L.)