Rä di Martino
Roma, 1975
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Poor Poor Jerry, 2018
Il topo Jerry, solo e invecchiato, dislocato in un paesaggio desertico che non gli appartiene, vaneggia, logorato dalla solitudine, dalla malinconia. L’immagine del celebre pestifero topo che ha sempre dato filo da torcere al suo storico rivale, il gatto Tom (Poor Poor Tom!), non potrebbe essere più distante da quella impressa nel nostro immaginario collettivo. Non ghigna più astutamente, non corre, non ride, non si pavoneggia. Così un po’ in pensiero, osserviamo Jerry trascinarsi per lande disabitate, nel tentativo di capire cosa possa essere accaduto alla star animata.
Seguiamo un flemmatico Jerry trasportato dal ritmo di una invadente traccia audio che riecheggia nel paesaggio. Si cimenta in passi di danza che il suo vecchio corpo compie a fatica, si rende ventriloquo di un montaggio di dialoghi presi in prestito da alcuni noti film sentimentali. Un incontro di mondi popolari adiacenti, che sono sempre stati materiale di riflessione per Rä di Martino, qui si sviluppano in un percorso narrativo privo di trama, capace tuttavia di mettere in discussione ricordi, conoscenze e visioni.
Facendo uso di elementi ed espedienti riconoscibili, entrando e uscendo dalla realtà, anche in questa occasione Rä di Martino riesce ad elaborare un lavoro di traduzione sullo sconfinamento tra memoria personale e collettività dell’immaginario sensoriale. Attraverso un sapiente utilizzo della storia dell’immagine, dei suoi protagonisti, e delle traccia che lasciano nel nostro quotidiano, l’artista con Poor Poor Jerry riflette sui segni che compongono il nostro alfabeto emotivo, mettendo in crisi il sistema di mappatura della nostra esperienza visiva e sentimentale. (Ilaria Gianni)
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