Io che prendo il sole a Milano il 1 ottobre, 2021
Ettore Favini
L’opera nasce dalla rilettura dell’installazione di Alighiero Boetti Io che prendo il sole a Torino il 19 Gennaio 1969. Si tratta di un progetto che richiede la partecipazione attiva da parte del pubblico e, naturalmente, dell’artista che, sdraiatosi a terra, lascia che venga prima rilevata la sagoma del suo corpo. Successivamente la sagoma viene riempita di arance. Una volta completata l’operazione, i presenti sono chiamati a prendere un frutto per consegnarlo a un barman che preparerà dei drink a base del succo delle arance stesse. In questo modo, gli spettatori andranno sempre più a consumare quel corpo steso a terra, lasciando in ultimo la sola sagoma vuota, in una sorta di cannibalismo in nome del consumismo. Il gesto del sottrarre materia si fa fondamentale. Attraverso questa opera-azione, apparentemente giocosa, Favini indaga concetti come la presenza-assenza, l’esistenza, il tempo e il consumismo.
Ettore Favini, nato a Cremona nel 1974. Ha vinto vari riconoscimenti nazionali e internazionali tra cui il Premio New York della Columbia University (2007). Con Antonio Rovaldi ha vinto il 48° Premio Suzzara (2013) e nel 2020 ha vinto il Premio organizzato dalla Fondazione Pollock Krasner di New York. Ha esposto in importanti istituzioni come Museo del Novecento, Milano; PAC, Milano; Galleria d’Arte Moderna, Milano; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Villa Croce, Genova; Villa Medici, Roma; American Academy, Roma; MAN, Nuoro; Italian Academy, New York; IIC, Tirana; SongEun Art Space, Seoul; Autostrada Biennale, Prizren, Domaine de Chamarande, Paris. È docente di Arti Visive presso NABA, Milano e Roma, e all’Accademia Carrara di Bergamo.